1° Punto: “La storia deve essere approfondita ma anche studiata per bene da diversi punti ed è qui che perdo l'interesse perchè leggere ecc non è un mio punto forte.”
2° Punto: “Da come la penso io Tito e Enver Hoxha erano i migliori governatori di Jugoslavia”
3° “Ritornado alla mia prima risposta di tale data, è giusto che si parli e che si fà in modo di ricordare l'Olocausto ma non bisogna dimenticare anche le altre cose è sopratutto perchè a questo popolo dobbiamo regalare un qualcosa che non gli appartiene per quello che ha fatto un altro stato.
Non mi ricordo bene ma mi è rimasto stampato sulla mente un documentario i quali un ministro degli Usa che ospitava un grande avocato-politico ebreo i quali strettissimi amici decisero i confini di questa popolazione pur sapendo che conflitto avrebber avviato...eppure l'han deciso bevendo e ridendo.
Da lì, se vero o no, di questa giornata non ne voglio sentire niente fino a quando non uscira qualcuno a dimostrare, sempre se è rimasta qualche prova, del perchè Hitler decise di sterminare questa gente, del perhcè l'italia ed altri stati annunciarono leggi dove gli ebrei non potevano fare niente, del perchè la popolazione se ne stava zitta e guardava, sentiva di tutto quello che stava accadendo in quei campi è del perchè fu deciso il confine di un nuovo stato in un posto del genere...ma sopratutto mi piacerebbe sapere da te mirko, che forse sicuramente saprai visto che la storia e una delle tue passioni, cosa facevano e dove erano o si collocavano gli ebrei prima di cominciare tutto ciò, perchè dal mio punto di vista, se questo popolo era gia sparso in giro del mondo che non avevano uno stato e dopo gli terribili anni gli si fu regalato uno uno stato, terra, case altrui per abitarci, allora lì non vedo il motivo per qui questo popolo deve avere tutta questa pietà se il male l'ha causato qualcun'altro!!!”
1° Punto. Hummmm....haia...haiiii...male, comunque ignori o non ti hanno detto o NON leggi abbastanza... “perdo l'interesse perchè leggere ecc non è un mio punto forte.” Lo dici pure tu...male molto male devi LEGGERE da solo e in completa autonomia.
2° Punto: Tito?...hummm ho qualche dubbio su questo gran simpaticone e su i suoi “Partigiani”, bada bene non ho niente contro i Partigiani anzi, mio Padre fu un Partigiano per 9 mesi e lo puoi trovare citato in questo libro “frammenti di storia contadina e popolare sammarinese” di Giuseppe Majani http://www.unilibro.it/find_buy/Scheda/libreria/autore-majani_giuseppe/sku-995499/pippo_frammenti_di_storia_contadina_e_popolare_sammarinese_.htm
Su poi come abbia potuto tenere insieme un paese con Serbi, croati, bosniaci mussulmani, montenegrini e albanesi, direi che la cosa più gentile da dire sarebbe con la carota e il bastone.
Comunque sia ecco la storia valuta tu….
A fine 1944, l'Accordo di Lissa (Viški sporazum), conosciuto anche come Accordo Tito-Šubašić, rappresentò un tentativo di fondere il governo comunista di Tito con il governo in esilio di re Pietro II.
Il 7 marzo 1945, il governo provvisorio della Democrazia Federale di Jugoslavia (Demokratska federativna Jugoslavija, DFJ) si riunì a Belgrado. Il governo provvisorio era capeggiato da Tito e non aveva relazioni con il governo jugoslavo in esilio e re Pietro II. Dopo le elezioni dell'11 novembre 1945 (secondo molti di fatto controllate e massicciamente inquinate dai titoisti), il fronte nazionale capeggiato da Tito ottenne la maggioranza assoluta. Tito venne nominato Primo Ministro e ministro degli Esteri della DFRJ.
È durante questo periodo che le forze jugoslave e l'Armata Rossa vennero coinvolte nella deportazione delle popolazioni etnicamente tedesche (Volksdeutsche) dalla Jugoslavia, considerate oggettivamente collaborazioniste. Tedeschi etnici, cetnici, ustascia e altre formazioni militari croate e slovene vennero catturati durante gli spostamenti tra le masse di rifugiati, e nonostante le promesse di Tito ai collaborazionisti di una resa sicura, un gran numero di collaborazionisti e supposti tali finirono uccisi (Massacro di Bleiburg).
Altre uccisioni di massa, ad opera dei partigiani jugoslavi, coinvolsero italiani, ungheresi e croati. La popolazione italiana dell'Istria, giudicata sommariamente come fascista, subì i Massacri delle foibe mentre l'etnia italiana presente nella Dalmazia, parte della Iugoslavia, fu considerata collaborazionista con gli invasori italiani e perseguitata.
I supposti "fascisti ungheresi" subirono il massacro di Bačka tra 1944 e 1945, mentre con l'Operazione Keelhaul venne ucciso un gran numero di ustascia croati, consegnati dai britannici, presso cui avevano chiesto asilo, agli jugoslavi.
Critici di Tito hanno sostenuto che Tito avesse dato via libera, o comunque non avesse ignorato e vietato i numerosi massacri, che durarono per molte settimane anche dopo la fine della guerra. Altri sostengono che tali eccidi sarebbero da mettere in relazione, almeno in parte, con il nazionalismo delle popolazioni locali e con capi partigiani in cerca di giustizia sommaria contro collaborazionisti veri o presunti e contro popolazioni considerate per etnia o per convenienza collegate alle forze occupanti.
Fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Josip_Broz_Tito
Massacri delle foibe
Gli eccidi
1943: armistizio e prime esecuzioni
L'8 settembre 1943 con l'armistizio tra Italia e Alleati, si verifica il collasso del Regio Esercito.
Fin dal 9 settembre le truppe tedesche assunsero il controllo di Trieste e successivamente di Pola e di Fiume, lasciando momentanemente sguarnito il resto della Venezia Giulia. I partigiani occuparono quindi buona parte della regione, mantenendo le proprie posizioni per circa un mese. Il 13 settembre 1943, a Pisino venne proclamata unilateralmente l'annessione dell'Istria alla Croazia, da parte del Consiglio di liberazione croato per l'Istria. Il 29 settembre 1943 venne istituito il Comitato esecutivo provvisorio di liberazione dell'Istria.
Improvvisati tribunali, che rispondevano ai partigiani dei Comitati popolari di liberazione emisero centinaia di condanne a morte. Le vittime furono non solo rappresentanti del regime fascista e dello Stato italiano, oppositori politici, ma anche semplici personaggi in vista della comunità italiana e potenziali nemici del futuro Stato comunista jugoslavo che s'intendeva creare. A Rovigno il Comitato rivoluzionario compilò una lista contenente i nomi dei fascisti, ma anche di persone estranee al partito ma rappresentanti lo stato italiano, i quali vennero arrestati e condotti a Pisino. In tale località furono condannati e giustiziati assieme ad altri fascisti italiani e croati. La maggioranza dei condannati fu scaraventata nelle foibe o nelle miniere di bauxite, alcuni mentre erano ancora in vita.
Secondo le stime più attendibili, le vittime del periodo settembre-ottobre 1943 nella Venezia Giulia, si aggirano sulle 600-800 persone. Alcune delle uccisioni sono rimaste impresse nella memoria comune dei cittadini per la loro efferatezza: tra queste sono Norma Cossetto, don Angelo Tarticchio, le tre sorelle Radecchi. Norma Cossetto ha ricevuto il riconoscimento della medaglia d'oro al valor civile.
L'armistizio in Dalmazia
Il 10 settembre, mentre Zara veniva presidiata dai tedeschi, a Spalato ed in altri centri dalmati entravano i partigiani. Vi rimasero sino al 26 settembre, sostenendo una battaglia difensiva per impedire la presa della città da parte dei tedeschi. Mentre si svolgevano quei 16 giorni di lotta, fra Spalato e Traù i partigiani soppressero 134 italiani, compresi agenti di pubblica sicurezza, carabinieri, guardie carcerarie ed alcuni civili.
La Dalmazia fu occupata militarmente dai tedeschi, mediante la famigerata 7ª SS-Gebirgsdivision "Prinz Eugen". La 77a divisione fanteria italiana Bergamo, di stanza a Spalato e precedentemente impegnata per anni proprio nella lotta antipartigiana, in quel frangente appoggiò in massima parte i partigiani e combatté in condizioni psicologiche e materiali difficilissime contro le truppe germaniche, fra le quali la sopra citata divisione Prinz Eugen, nonostante l'atteggiamento aggressivo e poco collaborativo dei partigiani titini. Dopo la capitolazione ordinata dal comandante, generale Becuzzi, molti ufficiali italiani furono passati per le armi, in quello che è noto come il massacro di Trilj. La Dalmazia fu annessa allo Stato Indipendente di Croazia. Tuttavia Zara, restò - seppur sotto il controllo tedesco - sotto la sovranità della RSI, fino alla occupazione jugoslava dell'ottobre 1944.
I ritrovamenti dell'autunno 1943
Con l'espulsione dei partigiani divenne possibile eseguire varie ispezioni nella foibe, dove furono rinvenuti i resti di centinaia di persone. Il compito di ispezionare le foibe fu affidato al maresciallo dei Vigili del Fuoco Arnaldo Harzarich di Pola, che condusse l'indagini da ottobre a dicembre del 1943 in Istria.
La propaganda fascista diede ampio risalto a questi ritrovamenti, che suscitarono una forte impressione. Fu allora che il termine "foibe" cominciò ad essere associato agli eccidi, fino a diventarne sinonimo (anche quando compiuti in maniera diversa). Paradossalmente, l'enfasi data ai ritrovamenti alimentò il mito del "barbaro slavo", contribuendo a creare il clima di terrore che favorì il successivo esodo.
Dalmazia 1944
Ulteriori eccidi si ebbero nel corso dell'occupazione delle città dalmate dove risiedevano comunità italiane.
Terribile fu la sorte di Zara, ridotta in rovine dai bombardamenti, che causarono la morte e la fuga della maggior parte dei suoi abitanti. La città fu infine occupata dagli Iugoslavi il 1° novembre 1944: si stima che il totale delle persone soppresse dai partigiani in pochi mesi sia di circa 180.
Fra gli altri furono uccisi i fratelli Nicolò e Pietro Luxardo (industriali, produttori del celebre liquore maraschino): secondo alcune testimonianze Nicolò fu annegato in mare. Quella dell'annegamento in mare legati a macigni è una pratica di cui sono state date varie testimonianze , tanto da divenire nell'immaginario popolare la "tipica" modalità di esecuzione delle vittime zaratine, similmente alle foibe in Venezia Giulia.
Primavera 1945: l'occupazione della Venezia Giulia e la nuova ondata di eccidi
Nella primavera del 1945 la IV Armata jugoslava, puntò verso Fiume, l'Istria e Trieste. L'obiettivo era di occupare la Venezia Giulia prima dell'arrivo degli alleati e si trascurò allo scopo di occupare le due capitali (Zagabria e Lubiana), lasciandole in mano germanica. Il 20 aprile 1945 le formazioni partigiane raggiunsero i confini della Venezia Giulia. Tra il 30 aprile ed il 1° maggio le formazioni del IX Korpus sloveno occuparono l'Istria, Trieste e Gorizia.
Il nuovo regime si mosse in due direzioni. Le autorità militari avevano il mandato di ristabilire la legittimità della nuova situazione creatasi con operazioni militari di occupazione. L'OZNA, la polizia segreta jugoslava, invece, operava nella più totale autonomia. Il compito della stessa era quello di arrestare i componenti del CLN e delle altre organizzazioni antifasciste italiane nonché tutti coloro che avrebbero potuto opporsi alla futura annessione della Venezia Giulia alla Jugoslavia, rivendicando l'appartenenza della stessa all'Italia.
A partire dal maggio del 1945, quindi, massacri si verificarono in tutta la Venezia Giulia (Trieste, Gorizia, Istria e Fiume). A Gorizia e Trieste (occupate dal 1º maggio), i massacri cessarono con l'arrivo degli alleati il 12 giugno: si riscontrò l'uccisione di diverse migliaia di persone, molte delle quali gettate vive nelle foibe.
Gli eccidi a Trieste ed in Istria
I baratri venivano usati per l'occultamento di cadaveri con tre scopi: eliminare gli oppositori politici e i cittadini italiani che si opponevano (o avrebbero potuto opporsi) alle politiche del Partito Comunista Jugoslavo di Tito; dominare e terrorizzare la popolazione italiana delle zone contese ed in qualche caso vendicarsi di nemici personali, magari per ottenere un immediato beneficio patrimoniale.
Gli scritti dell'allora sindaco di Trieste, Gianni Bartoli, nonché alcuni documenti inglesi riportano che molte migliaia di persone sono state gettate nelle foibe locali riferendosi alla sola città di Trieste e alle zone limitrofe, non includendo dunque il resto della Giulia, dell'Istria (dove si è registrata la maggioranza dei casi) e della Dalmazia. In possesso di queste informazioni il Governo De Gasperi nel maggio 1945 chiese ragione a Tito di 2.500 morti e 7.500 scomparsi nella Venezia Giulia. Tito confermò l'esistenza delle foibe come occultamento di cadaveri e i governi iugoslavi successivi mai smentirono.
Fra le vittime si ricordano i politici Licurgo Olivi del Partito Socialista Italiano e Augusto Sverzutti del Partito d'Azione, che non si sa ancora quando fu ucciso e se il suo cadavere fu infoibato.Di nuovo si verificarono uccisioni efferate, come quella di Don Francesco Bonifacio, torturato e quindi assassinato (il suo corpo non è mai stato ritrovato); ritenuto martire "in odium fidei", dalla Chiesa, è stato beatificato nel 2008.
Gorizia e provincia
Con l'arrivo dei partigiani jugoslavi anche a Gorizia iniziarono le repressioni che toccarono l'apice fra il 2 e il 20 maggio. Migliaia furono gli arresti e gli scomparsi non solo tra gli italiani, ma anche tra gli sloveni che si opponevano al regime comunista di Tito.
Le autorità slovene a marzo del 2006 hanno consegnato al sindaco di Gorizia un elenco di 1.048 deportati dalla provincia di Gorizia, dei quali circa 900 non hanno fatto più ritorno. Secondo il presidente dell'Unione degli Istriani, Massimiliano Lacota, questa lista sarebbe ancora grandemente incompleta.
Fiume
Fiume fu occupata il 3 maggio dagli iugoslavi, che avviarono immediatemente un'intensa campagna di epurazione.
Particolarmente violenta fu la caccia ai superstiti del Partito Autonomista Fiumano, particolarmente forte in città, che era visto come un potenziale ostacolo all'annessione della città alla Jugoslavia. Il quotidiano comunista La Voce del Popolo scatenò in una violentissima campagna di denuncia contro gli autonomisti, che vennero accomunati ai fascisti. I partigiani uccisero nelle prime ore di occupazione della città i vecchi capi del partito, dei quali una buona parte fu schiettamente antifascista. Fra questi Mario Blasich (infermo da anni, venne strangolato nel suo letto), Giuseppe Sincich, Mario Skull, Giovanni Baucer, Mario De Hajnal e Giovanni Rubinich che fu fondatore del Movimento Autonomista Liburnico.
Toccante fu la storia dell'ebreo Angelo Adam. Già deportato a Dachau e miracolosamente salvatosi, al ritorno in città venne eletto nei comitati sindacali aziendali, che fra i mesi di luglio e dicembre 1945 videro impegnate le intere maestranze cittadine, su impulso del Partito Comunista Croato. Inaspettatamente, queste elezioni videro il trionfo delle componenti autonomiste, che ottennero oltre il 70% dei seggi. In procinto di partire per Milano per incontrare i componenti del CLNAI, Angelo Adam venne arrestato, così come in immediata successione la moglie Ernesta Stefancich e il giorno dopo la figlia minorenne Zulema Adam, recatasi presso le autorità per chiedere informazioni sulla sorte dei genitori. Di nessuno dei tre si ebbero più notizie.
Tra i politici furono uccisi i senatori fiumani Icilio Bacci e Riccardo Gigante che non si erano macchiati di crimini. In anni recenti vicino alla località di Castua è stata individuata la fossa dove riposano i resti di Gigante, ma risulta difficile il loro recupero.
La persecuzione colpì anche gli esponenti dei CLN, secondo una linea ampiamente usata anche a Trieste e Gorizia. Numerosi furono nelle tre città gli arresti e le deportazioni di antifascisti, dei quali solo alcuni faranno ritorno dai campi di concentramento dopo lunghi periodi di detenzione. Ancora nel 1946 - assai dopo le esplosioni di "jacquerie" - risulteranno comminate condanne capitali contro reclusi accusati di aver fatto parte dei CLN.
Il numero di italiani sicuramente uccisi dall'entrata nella città di Fiume delle truppe jugoslave (3 maggio 1945) fino al 31 dicembre 1947 è di 652, a cui va aggiunto un altro numero di vittime non esattamente identificabile per mancanza di riscontri certi.
Le foibe in Veneto: il Bus de la Lum
Questo macabro utilizzo delle foibe non si è limitato al solo contesto giuliano e dalmata. Nel corso della resistenza, infatti, elementi delle brigate partigiane locali sono stati accusati di aver gettato centinaia di repubblichini, soldati tedeschi ma anche civili innocenti nel Bus de la Lum, voragine collocata nell'altopiano del Cansiglio, in Veneto.
Fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Massacri_delle_foibe
3° Punto: bene…allora devi sapere che gli Ebrei erano GIA’ in Palestina DA SEMPRE ma in minoranza dai tempi dei tempi e solo con l’avvento del Sionismo la cosa fu organizzata per “creare” uno stato e bada bene gli americani in questo NON centrano niente ma furono gli inglesi….
Il Sionismo, e cioè l’idea di fondare uno stato Ebraico in palestina, NON è nata con o dopo Hitler…ma nel 1860 ben 80 anni prima e in pochi lo sanno…o fanno finta…!?!? Di non saperlo?
Mi dispiace per te in merito al 1° Punto sul leggere ma devi leggere… qui di seguito, ravanando fra i miei libri ti metto queste pagine di un capitolo dal titolo eloquente “gli Ebrei tra la due guerre” e ti linko il tutto perché anche nelle foto ci sono delle didascalie eloquenti ed interessanti.
Poi dopo in fondo, tutto sul Sionismo.
Fonte: Shoah, gli Ebrei e la catastrofe di Anne Grynberg; l'Unità Universale Electa/Gallimard
Dal 1860 al 1896: le origini del sionismo
Nel corso dei secoli, c'è sempre stata una corrente migratoria ebraica verso la Palestina, motivata essenzialmente da ragioni religiose. L'immigrazione sionista, di natura laica, è invece una conseguenza molto più tarda dell'emancipazione degli ebrei europei nel corso della rivoluzione francese (1791) e per tutto il XIX secolo fino alla rivoluzione russa (1917), e delle reazioni ostili alla conseguente tendenza degli ebrei all'assimilazione nelle varie società nazionali.
Il proto-sionismo si sostanzia nella fondazione nel 1860 dell'Alleanza Israelitica Universale guidata da Adolphe Crémieux, nella costruzione di un sobborgo ebraico di Gerusalemme finanziata dal filantropo sir Moses Montefiore nel 1861, nella pubblicazione nel 1862 di Roma e Gerusalemme ad opera del filosofo ebreo tedesco Moses Hess e di Derishat Zion ad opera del rabbino polacco-prussiano Zvi Hirsch Kalischer, nell'apertura nel 1870 di Mikveh Israel, la prima scuola agraria ebraica, a cura di Charles Netter dell'AIU, nella composizione nel 1878 di hatikvah ("La speranza"), inno del sionismo e poi dello stato di Israele.
Nella tradizione di Montefiore, a partire dal 1882, Edmond James de Rothschild divenne uno dei principali finanziatori del movimento sionista e acquistò il primo sito ebraico in Palestina, l'attuale Rishon LeZion; sempre dal 1882 anche Maurice de Hirsch fu un grande finanziatore di insediamenti, sia sionisti che territorialisti. È appunto dal 1882 che data la prima ondata di immigrazione sionista (Prima Aliyah), al cui inizio la comunità ebraica palestinese (Yishuv) contava 25.000 persone: la prima aliyah più che raddoppierà queste cifre.
L'idea di creare uno Stato puramente ebraico, in cui l'antisemitismo sia assente per definizione, circola dal 1880, con i movimenti di Bilu e degli "Amanti di Sion" (Hovevei Zion), i cui manifesti ideologici sono il laico Selbstemanzipation ("Auto-emancipazione"), scritto da Leon Pinsker nel 1882, e il religioso Aruchas Bas-Ammi, scritto dal rabbino Isaac Rülf nel 1883, oltre agli scritti precedenti di Kalischer.
Alcuni dei promotori di questa idea volevano fondare lo Stato nella storica terra d'Israele, chiamata anche Palestina, dove, secondo la Bibbia, vi erano stati i regni di Davide e di Salomone. Tuttavia, per questa terra non fu subito scelta la Palestina: c'era anche chi proponeva di creare uno Stato ebraico in altre parti del mondo, ad esempio in Argentina, Ecuador, Suriname, Amazzonia, Uganda, Kenya, Stati Uniti, Canada, Australia. L'opzione di gran lunga più popolare restava però la Palestina, all'epoca governata dall'Impero Ottomano, la quale prevalse già dal 1905 e vinse definitivamente dopo il 1917.
Il fondatore del Sionismo è oggi considerato Theodor Herzl, un giornalista ashkenazita assimilato suddito dell'impero austro-ungarico. Nel 1895 Herzl fu inviato come corrispondente del suo giornale a Parigi per seguire il processo dell'affare Dreyfus (ufficiale francese di origini ebraiche accusato di tradimento), esploso nel 1894, che fu accompagnato da una feroce campagna di stampa francese che riproponeva stereotipi antisemiti. In seguito a questa esperienza Herzl si rese conto che l'assimilazione e l'integrazione degli ebrei in Europa non aveva dato frutti e che gli ebrei avevano bisogno di un proprio Stato, dove poter vivere in pace e sicurezza lontano dai pregiudizi e dalle false accuse tipici dell'antisemitismo.
La sua conclusione derivava dalla sua esperienza nell'impero austro-ungarico: in una compagine nazionale eterogenea, come si presentava a fine '800 l'impero asburgico, italiani, serbi, croati, ungheresi, cechi, slovacchi, polacchi galiziani, tedeschi di Boemia e di Transilvania, tutti avevano i propri rappresentanti nel Parlamento imperiale e potevano appellarsi a una propria "nazione" e a una "terra" che loro apparteneva, una "patria" dentro o fuori i confini dell'impero, tutti tranne gli ebrei, né gli altri popoli riconoscevano gli ebrei come parte di essi.
Herzl avrebbe sviluppato la sua idea e l'avrebbe tradotta in Der Judenstaat ("Lo Stato degli Ebrei"), un volume pubblicato all'inizio del 1896 senza conoscere gli scritti dei suoi predecessori e subito tradotto in varie lingue. All'immediato successo del volume e al dibattito suscitato Herzl fece seguire il primo Congresso Sionista Mondiale, che si tenne a Basilea dal 29 al 31 agosto 1897, in modo da costituire un movimento permanente.
Herzl si inserisce in una tradizione di pensiero di lingua tedesca iniziata con Hess, e in quella tradizione riunisce attorno a sé la prima generazione di leader sionisti (Max Bodenheimer, Max Nordau, Otto Warburg, David Wolffsohn), cui sono vicine anche personalità come Albert Einstein. Questa tradizione è quasi compattamente parte della corrente dei "Sionisti generali" (ossia non affiliati a movimenti specifici) di ispirazione liberale.
Le idee di Herzl si inseriscono in un movimento migratorio ebraico già in atto, causato, in Russia, dai pogrom degli anni 1881-1882 e poi degli anni 1903-1906. Secondo dati del 1930, dal 1880 al 1929 emigrano dalla Russia 2.285.000 ebrei, e, di questi, 45.000 in Palestina. La stragrande maggioranza preferisce recarsi altrove: 1.930.000 scelgono le Americhe, 240.000 l'Europa, i restanti l'Africa e l'Oceania. Dall'Austria, dall'Ungheria e dalla Polonia emigrano, dal 1880 al 1929, in 952.000: 697.000 nelle Americhe, 185.000 in altri Paesi europei, 40.000 in Palestina. Proporzioni analoghe si riscontrano fra i migranti provenienti da altri Paesi. In totale, durante questi decenni migrano 3.975.000 ebrei: 2.885.000 negli Stati Uniti, 365.000 nel resto delle Americhe (principalmente Argentina e Canada), 490.000 in Europa occidentale e centrale (specie Francia e Germania), e solo 120.000 in Palestina.
L'importanza dell'emigrazione dalle terre soggette all'Impero russo (oggi facenti parte di Lettonia, Lituania, Polonia, Bielorussia, Ucraina) porta naturalmente all'emergere di una leadership di tali origini nel movimento sionista, che deriva dall'esempio di Leon Pinsker. La prima generazione comprende nomi attivi in campo culturale (Ahad Ha'am, Eliezer Ben Yehuda, Aaron David Gordon) oltre che nella politica sionista (Chaim Weizmann, Nahum Sokolow, Leo Motzkin, Menahem Ussishkin, Nachman Syrkin), ma anche i primi rabbini che legittimano il sionismo in campo religioso (Abraham Isaac Kook, Moshe Leib Lilienblum, Samuel Mohilever, Yitzchak Yaacov Reines). Questi sionisti faranno parte di tutte le principali correnti del sionismo: non solo i sionisti generali, ma anche il sionismo socialista e il sionismo religioso e, decenni più tardi il nazionalismo espresso dal sionismo revisionista.
Nell'ebraismo americano, importante più dal punto di vista del sostegno finanziario che dell'emigrazione, svolge un ruolo fondamentale il rabbino Solomon Schechter.
Dal 1897 al 1917: l'immigrazione sionista nella Palestina ottomana
Herzl fece invano appello ai ricchi filantropi ebrei perché appoggiassero le sue proposte, ma scoprì la tradizione proto-sionista dell'Europa orientale, che egli ignorava e che lo sostenne. Dal 29 al 31 agosto 1897 Herzl organizzò il primo Congresso Sionista a Basilea (Svizzera), dove creò l'Organizzazione Sionista (dal 1960 Mondiale), il massimo organismo politico ebraico fino alla istituzione dello Stato d'Israele.
Il congresso si chiuse approvando un programma che affermava la scelta politica, e non più semplicemente insediativa dell'Organizzazione Sionista:
« "Il sionismo persegue per il popolo ebraico una patria in Palestina pubblicamente riconosciuta e legalmente garantita. »
Al termine del congresso, Herzl scrisse nel suo diario:
« Dovessi riassumere il Congresso di Basilea in una parola - che mi guarderò bene dal pronunciare pubblicamente - sarebbe questa: A Basilea, io fondai lo Stato Ebraico. Se lo dicessi ad alta voce oggi, mi risponderebbe una risata universale. Se non fra 5 anni, certamente fra 50 ciascuno lo riconoscerà. »
Nei primi anni di questo periodo, gli ultimi della sua vita, oltre a convocare tutti i successivi congressi. Herzl ottenne colloqui con vari capi di stato (fra cui il Sultano Abdul-Hamid II, il Kaiser Guglielmo II, Re Vittorio Emanuele III e Papa Pio X, oltre ai governi britannico e russo) per ottenere, invano, il loro assenso ufficiale al suo progetto. Inoltre, Herzl pubblicò il romanzo utopico Altneuland ("Terra vecchio-nuova" - 1902), che porta l'epigrafe "Se tu lo vorrai - non è una fiaba".
L'Organizzazione Sionista funzionò fin dall'inizio secondo le regole della democrazia rappresentativa: gli iscritti (fin dall'inizio anche donne) pagavano una quota (shekel) ed eleggevano delegati a regolari congressi in Europa (annuali 1997-1901, biennali 1903-1913 e 1921-1939, quadriennali e a Gerusalemme dopo la creazione dello stato), dove veniva eletto un esecutivo di 30 consiglieri, che a loro volta eleggevano il presidente.
Il Congresso era ed è soprannominato "il Parlamento del Popolo Ebraico": nell'Organizzazione Sionista tutte le correnti sioniste (liberali, religiosi, socialisti) erano rappresentate, a tutti i livelli. In questi anni si forma la seconda generazione di leader sionisti (David Ben Gurion, Yitzhak Ben-Zvi, Ber Borochov, Berl Katznelson, Arthur Ruppin, Pinhas Rutenberg, Zalman Shazar, Joseph Trumpeldor, Meir Bar-Ilan, Vladimir Jabotinskij), quasi tutti, tranne Jabotinskj e Bar-Ilan, socialisti.
Non avendo ottenuto il sostegno ufficiale dell'Impero Ottomano, fino al 1917 l'Organizzazione Sionista perseguì l'obiettivo della costruzione di una patria mediante una strategia di immigrazione (aliyah) continua su piccola scala, anche mediante istituzioni quali:
Die Welt, il giornale del movimento sionista;
il Keren Kayemet LeYisrael (Fondo Nazionale Ebraico 1901), un ente non-profit per l'acquisto di terreni agricoli ed edificabili;
il Jewish Colonial Trust (1899), istituzione finanziaria, e la Anglo-Palestine Bank (1903 - dal 1950 Bank Leumi), che erogava prestiti ad agricoltori e imprese;
il Keren Hayesod (Fondo delle fondamenta - 1920), un'organizzazione-ombrello per la raccolta di fondi nella Diaspora al fine di finanziare le reti di infrastrutture in Israele.
La seconda ondata migratoria (circa 30.000 persone) parte dalla Russia per la Palestina fra il 1904 e il 1914: c'erano stati pogrom dal 1903 al 1906, sostenuti dalla pubblicazione dei "Protocolli dei Savi di Sion", falso documento segreto ebraico e vero libello antisemita prodotto dalla polizia segreta zarista. Alcuni dei nuovi colonizzatori erano spinti da ideali socialisti e crearono dei Kibbutz, delle comunità organizzate secondo criteri collettivisti e comunistici, in cui la popolazione viveva dell'agricoltura. Tuttavia il collettivismo e gli ideali comunistici erano riservati agli ebrei: vigendo la politica del 'lavoro ebraico', i kibbutz non accettavano (e non accettano) non ebrei fra i loro membri, applicando quindi una discriminazione da cui in realtà gli ebrei stessi volevano fuggire.
Con i fondi sionisti, e principalmente del Fondo nazionale ebraico, si acquistano terre dichiarate inalienabili da cui è esclusa la manodopera indigena; nasce una nuova nazione, con una propria lingua ed un'economia chiusa, da cui gli arabi sono esclusi. Altri si sistemano nelle città o ne fondano di nuove: caratteristico è il caso di Jaffa e Tel Aviv, Tel Aviv era infatti un quartiere di Qoffa, ma il massiccio insediamento ebraico crebbe fino a far diventare l'antica (millenaria!) città di Qoffa un sobborgo della nuova Tel Aviv.
I chaluzim, i "pionieri" dell'esodo sionista, non portarono in Palestina solo la loro forza lavoro, la loro famiglia, la loro cultura, ma importarono l'idea europea di "Nazione". Tra gli immigrati ebrei si diffuse anche l'uso della lingua ebraica, la quale, relegata all'ambito religioso da duemila anni, non era più usata quotidianamente.
In piena Prima guerra mondiale, nell'imminenza dell'ingresso delle truppe britanniche a Gerusalemme, strappata all'esercito ottomano (dicembre 1917), il Regno Unito si impegnava, con una lettera del ministro degli esteri Arthur James Balfour a Lord Lionel Walter Rothschild, membro del movimento sionista inglese, a mettere a disposizione del movimento sionista dei territori in Palestina, in caso di vittoria. Il documento porta il nome di Dichiarazione Balfour 2 novembre 1917.
Il Sionismo e la popolazione nativa
Durante i secoli precedenti, si erano già verificati casi di Ebrei europei che emigravano verso la Palestina ed in particolare Gerusalemme, la città santa della religione ebraica. Nella regione era quasi sempre esistita una minoranza ebraica, soprattutto a Gerusalemme e a Hebron, le due città più importanti per gli Ebrei da un punto di vista religioso. Ciò nonostante, all'epoca della nascita del movimento sionista la grande maggioranza della popolazione della regione rimaneva araba e musulmana, con consistenti minoranze di cristiani arabi o armeni.
I sionisti non vedevano un problema in questo dato di fatto, sostenendo che l'arretrata popolazione araba avrebbe tratto giovamento dall'immigrazione di europei in vasta scala, che avrebbe rivitalizzato la regione, e che comunque la piccola popolazione araba (non più di mezzo milione di persone) non costituiva in nessun modo un popolo con una propria identità nazionale, in quanto si sarebbe integrata nel nascituro stato (Herzl, Congresso di Basilea).
Il movimento sionista è stato oggetto di molte critiche e censure da parte dei suoi oppositori proprio per l'indifferenza, in alcuni casi, nei confronti della popolazione nativa della regione; ma la critica più diffusa è piuttosto quella di aver mirato, fin dall'inizio, alla decisione di espellere i palestinesi dalla terra in cui abitavano. Il comportamento sionista è stato assimilato da alcuni ad un tipico atteggiamento colonialista europeo, anche se da questo, per lo meno dagli anni '20, si è differenziato per lo meno per una caratteristica: quella di impiegare manodopera ebraica, non palestinese. Lo scopo non è quello di sfruttare gli indigeni, come è nel colonialismo classico, ma di sostituirli.
In molti rispondono che la Palestina era solo una provincia povera e dimenticata dell'Impero Ottomano prima dell'arrivo dei sionisti, e che gli immigrati ebrei, grazie all'Agenzia Ebraica, comprarono inizialmente la terra da latifondisti arabi, spesso assenteisti e ben contenti di vendere appezzamenti di terra ai sionisti spuntando prezzi altissimi, del tutto indifferenti alle sorti dei contadini arabi della regione. Fino ad allora, l'economia locale era feudale: se la terra passava dal latifondista A a quello B, la differenza per i contadini ( fallāḥīn ) locali consisteva nel pagare le imposte a B piuttosto che ad A.
Dal 1918 al 1948: il Mandato e la nascita dello Stato di Israele
Dopo aver occupato la regione nel corso della prima guerra mondiale, e aver ottenuto dall'Impero Ottomano il riconoscimento della conquista nel trattato di Sèvres (agosto 1920), l'Impero Britannico chiese e il 24 luglio 1922 ottenne dalla Società delle Nazioni un Mandato sulla Palestina, che includeva anche l'odierna Giordania. La dichiarazione diceva fra l'altro:
« The Mandatory (…) will secure the establishment of the Jewish national home, as laid down in the preamble, and the development of self-governing institutions, and also for safeguarding the civil and religious rights of all the inhabitants of Palestine, irrespective of race and religion. »
Nel frattempo, si era già verificata una forte immigrazione (Terza Aliyah), principalmente dalla Russia sconvolta dalla rivoluzione e dalla guerra civile.
In conformità all'articolo 4 del mandato, e dopo l'assenso del Congresso Sionista, la comunità ebraica in Palestina (Yishuv) costituì nel 1923 HaSochnut HaYehudit (l'Agenzia Ebraica) come organo di autogoverno, sostitutivo dell'Organizzazione Sionista, che nel 1929 fu riconosciuto dai britannici ricevendo poteri para-statali: gestione di scuole, ospedali, infrastrutture, eccetera (e, clandestinamente, formazione di Haganah). Nel 1924 Edmond James de Rothschild fondò la Palestine Jewish Colonization Association (PICA), che comprò più di 125.000 acri (560 km2) di terreno, continuando dopo di lui l'opera che egli aveva intrapreso oltre quarant'anni prima. Tutto ciò favorì una nuova ondata migratoria (Quarta Aliyah), proveniente soprattutto dall'Europa orientale.
In questi anni, in cui inizia la costruzione dello stato, si forma la terza generazione di leader sionisti, fra cui Abba Ahimeir, Haim Arlozoroff, Levi Eshkol, Nahum Goldmann, Uri Zvi Greenberg, Golda Meir, Moshe Sharett. Nel 1925 nasce la corrente revisionista, ad opera di Jabotinsky, in reazione ai primi scontri con gli arabi e alla decisione britannica di chiudere la Transgiordania (oggi Giordania) all'insediamento ebraico (1922) e in opposizione all'atteggiamento conciliante delle altre correnti sioniste.
La popolazione araba in Palestina aumentò per l'arrivo di immigrati dai paesi circostanti, che vennero per lavorare, spinti dai salari più elevati di quelli dei loro paesi d'origine.. I notabili arabi palestinesi rifiutarono la proposta britannica di creare un'Agenzia Araba, con poteri analoghi a quelli dell'Agenzia Ebraica.
Le prime proteste arabe relative all'immigrazione ebraica si registrano verso la fine del XIX secolo, ma i primi scontri si ebbero solo negli anni '20, a Gerusalemme (1920) e a Giaffa (1921).
Negli anni '30 l'immigrazione ebraica aumentò notevolmente (Quinta Aliyah), per via dell'alto numero di Ebrei che abbandonavano la Germania in seguito all'ascesa al potere di Adolf Hitler e alle sue leggi razziali. La maggior parte dei Paesi del mondo tennero chiuse le porte ai profughi ebrei; gli Stati Uniti avevano ridotto le possibilità di immigrazione nel 1924, e sostanzialmente escluse nel 1932, per la Grande Depressione. La Palestina diventa quindi per gli ebrei d'Europa uno dei pochi rifugi possibili.
Tra il 1929 e il 1939 ci furono in Palestina vasti scontri tra Ebrei ed Arabi - i moti del 1929 e la cosiddetta "Grande Rivolta" del triennio 1936-1939 - sedati duramente dall'esercito britannico, con alto numero di vittime da entrambi le parti. L'antica comunità ebraica di Hebron fu distrutta durante le ostilità del 1929.
Nel 1939 i Britannici, dopo aver proposto inutilmente diversi piani di divisione del territorio mandatario in due stati distinti (elaborati dalla Commissione Peel nel 1937, dalla Commissione Woodhead nel 1938 e dalla Conferenza di St. James nel 1939), produssero una legge, il Libro Bianco, che limitava l'immigrazione ebraica a 75.000 persone per una durata di 5 anni, cifra a cui sarebbero stati sottratti gli eventuali immigrati illegali individuati, e che, dal punto di vista del movimento sionista, sembrava favorire le ragioni degli Arabi. Oltre a questo i britannici, ritenendo, dopo i tentativi falliti, che una spartizione sarebbe risultata impossibile perché rifiutata sia dal movimento sionista, sia dalla popolazione palestinese di origine araba, previdero la creazione di un unico Stato federale entro il 1949, dove i coloni ebraici sarebbero tuttavia stati una minoranza (stimata, anche in base alle restrizioni sull'immigrazione, in un terzo della popolazione totale).
Nello stesso anno scoppiò la Seconda guerra mondiale, e aumentò enormemente il numero di Ebrei che cercavano di rifugiarsi in Palestina per sfuggire allo sterminio nazista. Molti di loro dovettero entrare illegalmente (Aliyah Bet). Le organizzazioni ebraiche più moderate, come l'Haganah di David Ben Gurion, si limitarono agli scontri con gli Arabi, mentre le organizzazione ebraiche più estremistiche arrivarono ad aggredire apertamente i Britannici, militari e civili. In questo si distinsero l'Irgun di Menachem Begin e la Banda Stern, descritte dai Britannici come organizzazioni terroristiche.
Nel maggio 1947 i Britannici annunciarono la rinucia al mandato sulla Palestina e il suo abbandono entro un anno. Il 15 maggio 1947 fu costituito l'UNSCOP (United Nations Special Committee on Palestine) che il 3 settembre raccomandò a maggioranza la divisione della Palestina occidentale (quella orientale aveva già formato lo stato arabo di Giordania) in due stati più o meno di uguale superficie, uno a maggioranza ebraica e l'altro a maggioranza araba, mentre Gerusalemme sarebbe diventata una città internazionale (Corpus separatum) controllata dall'ONU. Secondo la commissione dell'ONU che si occupò di analizzare la situazione in Palestina e di elaborare la spartizione, la popolazione ebraica contava ormai circa 608.000 persone, mentre quella araba circa 1.237.000 persone. Il 29 novembre 1947 l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite votò (33 sì, 10 no, 13 astenuti) la risoluzione 181, contenente la divisione della Palestina.
Le principali organizzazioni ebraiche accettarono la proposta (rifiuti provennero solo dai gruppi più estremisti, che puntavano alla costituzione della Grande Israele, comprendente tutto il territorio mandatario e parte delle nazioni confinanti) mentre la popolazione festeggiava nelle strade alla notizia. Invece la popolazione araba e i paesi arabi circostanti la rifiutarono, per ragioni di principio religiose (sia islamiche che cristiane) e politiche, oltre che per ragioni pratiche (tra le principali critiche da parte araba il fatto che agli ebrei, rappresentanti solo un terzo della popolazione, fosse assegnato il 55% del territorio, che questo comprendesse le principali fonti idriche della regione e che lo stato arabo non avesse sbocchi sul Mar Rosso). Gli arabi chiedevano uno stato unico, con il rientro in Europa di tutti gli ebrei immigrati negli ultimi decenni.
La nazioni arabe, contrarie alla suddivisione del territorio e alla creazione di uno stato ebraico, fecero ricorso alla Corte Internazionale di Giustizia, sostenendo la non competenza dell'assemblea generale delle Nazioni Unite nel decidere la ripartizione di un territorio andando contro la volontà della maggioranza (araba) dei suoi residenti, ma il ricorso fu respinto.
Dopo un anno di scontri interni alla popolazione e di scaramuccie sui confini con i paesi arabi, il 14 maggio 1948, termine del mandato, l'Agenzia Ebraica dichiarò l'indipenenza dello Stato d'Israele; lo stesso giorno il neonato Stato di Israele fu attaccato apertamente dalla Siria, dall'Egitto, dall'Iraq, ai quali si aggiunse in seguito la Giordania.
Le forze ebraiche, che inizialmente avevano conosciuto gravi difficoltà nell'equipaggiarsi, ma che erano meglio organizzate e che ricevettero continui rinforzi provenienti dall'immigrazione nuovamente possibile, vinsero la guerra, che si concluse con una seguenza di armistizi, ma nessun trattato di pace. In seguiito alla guerra, Israele conquistò un territorio più ampio di quello promesso dalle Nazioni Unite, mentre la Giordania occupò la palestinese Cisgiordania, e l'Egitto occupò la Striscia di Gaza, parimenti palestinese. Gerusalemme restò divisa tra Israeliani e Giordani. Questo assetto territoriale rimase intatto fino al 1967.
Lo Stato di Israele fu riconosciuto alla nascita dalle Nazioni Unite e da buona parte del mondo, ma la totalità dei paesi arabi rifiutò di riconoscere la sua esistenza (rinunciando quindi a costituire lo stato arabo in Cisgiordainia e Gaza), e per la maggior parte ancora la rifiuta. Nel mondo arabo, e in buona parte del mondo islamico, la creazione di Israele viene vista come un atto di aggressione contro il mondo arabo, il furto di un pezzo di territorio ed un atto di spossessamento nei confronti dei Palestinesi. Nel 1949 la Lega Araba approvò due risoluzioni: nella prima si vietava ai governi di tutti gli stati membri di concedere la cittadinanza ai profughi palestinesei, nella seconda si ordinava ai governi degli stati membri di facilitare l'esplulsione degli ebrei dalle proprie terre.
Dal 1949 a oggi: il Sionismo e lo Stato di Israele
Il 23° Congresso sionista (1951), fu il primo dopo l'indipendenza e per la prima volta si tenne non in Europa ma a Gerusalemme. Il congresso si aprì simbolicamente davanti alla tomba di Herzl, appena traslato da Vienna secondo il suo testamento. Poiché con l'istituzione dello Stato di Israele il "programma di Basilea" era stato realizzato, il congresso ridefinì i compiti del movimento nel "programma di Gerusalemme" come segue:
« consolidamento dello Stato di Israele, riunione degli esiliati in Terra di Israele, tutela dell'unità del Popolo Ebraico »
Per quanto riguardava il rapporto fra Stato di Israele e Organizzazione Sionista, il congresso approvò una risoluzione che chiedeva allo stato di riconoscere l'organizzazione come organo rappresentativo del popolo ebraico in materia di partecipazione organizzata della Diaspora alla costruzione di Israele. Nel 1952 la Knesset approvò una legge in tal senso.
Lo Stato di Israele, indipendente dal maggio 1948 come "Stato Ebraico" secondo le Nazioni Unite (risoluzione 181 del 29 novembre 1947), dal 1950 riconosce con la Legge del ritorno il diritto di qualsiasi ebreo del mondo di immigrare in Israele, semplicemente richiedendolo, e di ricevere la cittadinanza non appena arrivato. L'atto di immigrazione in Israele nel caso di un ebreo viene chiamato Aliyah, che in ebraico significa "ascesa".
Ancora oggi l'immigrazione sionista in Israele è incoraggiata e continua, anche se i flussi più rilevanti si sono avuti subito dopo l'indipendenza dello stato (1948-1951), per il rimpatrio dei sopravvissuti alla Shoah e per l'espulsione degli ebrei dai paesi arabi, e al crollo del sistema sovietico in Europa Orientale (1990-1991).
Durante gli anni '50 e gli anni '60, 856.000 ebrei provenienti dal Nord Africa e dal Vicino Oriente emigrarono in Israele in seguito all'espulsione, di diritto o più spesso di fatto (confisca dei beni), dai paesi di origine, di cui 260.000 negli anni 1948-1951. Nel 1945 tra 758.000 e 866.000 ebrei vivevano in comunità insediate nel mondo arabo ; 50 anni più tardi erano meno di 10.000.
Durante gli anni '90, è emigrato in Israele circa un milione di persone dall'ex-Unione Sovietica. Molti di questi ultimi hanno con l'Ebraismo legami familiari non riconosciuti dalla legge religiosa (il padre ma non la madre), e non sono mancati i casi di praticanti del Cristianesimo ortodosso. Si suppone che molti di questi siano emigrati in Israele per sfuggire dalle condizioni economiche e sociali molto dure dei paesi di origine. Negli ultimi anni, c'è stata anche un'immigrazione crescente di clandestini provenienti dall'Africa e dall'Asia.
Israele ha sempre negato, invece, il ritorno ai profughi arabi palestinesi, sia ai 711.000 della guerra del 1948 (per due terzi fuggiti in Cisgiordania e a Gaza), che a quelli della guerra del 1967, argomentando che a loro è riservato lo "Stato Arabo" previsto dall'ONU nel 1947 e che comunque il loro numero equivale a quello dei profughi ebrei dai paesi arabi. Per entrambe le ragioni, quindi, spetterebbe a questi ultimi farsi carico dei rifugiati. Nel settembre 1948 il conte Folke Bernadotte, incaricato dalle Nazioni Unite e che agiva per il ritorno dei profughi palestinesi nelle loro case, fu assassinato dal gruppo Lehi; Israele arrestò appartenenti alla banda, ma furono subito rilasciati.
Il diritto dei profughi a tornare in patria è sancito dall'articolo 13 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, approvata nel dicembre 1948. Non è stato sempre applicato, ad esempio, dopo la seconda guerra mondiale, non ai profughi italiani dall'Istria e dalla Dalmazia, né ai profughi tedeschi dai Sudeti cechi e dalla Prussia e Slesia polacche, né ai profughi polacchi dalla Bielorussia, né, naturalmente, ai profughi ebrei dai paesi arabi degli anni '40, '50 e '60. Tutti questi profughi sono stati riassorbiti dai paesi di destinazione. Di recente, è stato applicato, ma con successo solo parziale, ai fuggiti nelle guerre interetniche in Bosnia e in Ruanda e Burundi. e agli scampati alla guerra nell'ex Jugoslavia Non viene applicato neppure ai profughi arabi dalla terra poi diventata Israele, molti dei quali vivono tuttora in campi in Cisgiordania, territorio sotto la responsabilità israeliana fin dal giugno del 1967, Libano, Siria e altri paesi arabi, che, ad eccezione della Giordania, hanno rifiutato loro la cittadinanza e spesso l'integrazione sociale.
In seguito alla conquista ed all'occupazione militare della Cisgiordania e della Striscia di Gaza avvenuta nel 1967 in seguito alla guerra dei sei giorni, sono stati costruiti nuovi insediamenti ebraici nei Territori Occupati su terra confiscata ai palestinesi. Ora vi abitano più di 450.000 coloni. Alcuni di loro sono motivati dalla credenza religiosa che l'intera Terra di Israele sia stata promessa da Dio agli Ebrei e che cederne anche solo un pezzo costituisca un peccato. Altri invece sono mossi da considerazioni più semplici, di minor costo della vita, in quanto le colonie ricevono ingenti finanziamenti statali.
Queste colonie, a cui la stragrande maggioranza dei palestinesi non può accedere (fanno eccezione coloro che sono ammessi a lavorarvi, secondo fonti filo-palestinesi in condizioni molto peggiori di quelle di lavoratori israeliani di pari livello), hanno attirato condanne da parte dei Palestinesi e da quasi tutto il mondo. Chi si oppone paragona spesso la situazione a quella dell'apartheid sudafricano. Fra questi vanno ricordati due sudafricani (che pertanto, si può ragionevolmente ipotizzare che sappiano di cosa parlino), l'arcivescovo Desmond Tutu e l'inviato ONU per i diritti umani John Dugard, che considera la stato delle cose ancora peggiore , l'ex presidente statunitense Jimmy Carter , le organizzazioni israeliane che lottano per i diritti umani e conoscono la situazione sul terreno, come B'Tselem .
Il Neo-Sionismo, la forma di "Sionismo" che implica costruire colonie in Cisgiordania (denominata, per sottolineare che il popolo di Israele ha diritto alle terre bibliche, 'Giudea e Samaria'), ha destato perplessità e critiche anche all'interno di Israele, ed è stato descritto come una cattiva interpretazione della religione ebraica. Così, nel 1992, si esprimeva Yeshayahou Leibowitz, intervistato da Eyal Sivan:
« ... Lo stato di Israele è fondato su un valore, e questo valore è il mantenimento del potere ebraico violento su tutta la terra di Israele e sull'altro popolo che vive in questa terra. È il contenuto del valore dello stato di Israele, oggi. È per questo che ha appena versato due miliardi e mezzo ai coloni installati nel Territori, mentre non ha denaro per gli immigrati recenti.... Quello che considera un valore è mantenere il potere sui Territori occupati. Non vi è denaro per migliorare il sistema scolastico. Non vi è denaro per migliorare il sistema sanitario... ma vi è denaro per gli assassini che si installano nei Territori. Molto denaro: due miliardi e mezzo, l'anno scorso. In nome di questo valore, si sacrifica la salute, l'istruzione, l'integrare gli immigranti. Si sacrifica tutto questo per mantenere il nostro potere sui Territori Occupati.
Chiama assassini i coloni?
Sì, certamente. »
(Y. Leibowitz, L'exigence d'être héroique s'appelle l'incitation à la révolte, De L'autre côté, Printemps 2007, n° 3, éditions La fabrique )
Lo stato di Israele e le organizzazioni sioniste sostengono che ritenere gli ebrei collettivamente responsabili di quanto compiuto dallo stato di Israele sia una forma di antisemitismo; questa loro opinione è stata accolta dall'EUMC (European Monitoring Committee on Racism and Xenophobia). Durante la seconda guerra del Libano, nell'agosto 2006, il primo ministro israeliano, Olmert, ha tuttavia affermato di ritenere che tale guerra fosse combattuta, non solo da tutti gli israeliani, ma da tutti gli ebrei. Non mancano gli ebrei e le organizzazioni ebraiche che definiscono una tale frase, così come le espressioni che offuscano la distinzione fra sionisti ed ebrei ,estremamente pericolosa per gli ebrei medesimi.
Israele, che attualmente ha più di sette milioni di abitanti, si autodefinisce uno "Stato Ebraico". Le due lingue ufficiali sono l'Ebraico, una lingua che è stata completamente rivitalizzata dopo più di due millenni di uso solamente liturgico, e l'Arabo. Nella pratica, è molto più usato l'inglese dell'arabo. Ora è diffuso anche il russo.
La società è divisa su numerosi temi tra la componente religiosa e quella laica. I servizi di trasporto pubblico (con l'eccezione di Haifa) non funzionano di sabato e nelle altre feste ebraiche. Il potere degli ebrei ultraortodossi è in aumento: sono in alcuni casi (raramente corretti) a imporre la separazione fra uomini e donne su autobus in servizio pubblico.
Fino al 1967, lo stato di Israele fu sostenuto, nel mondo, anche dall'Unione Sovietica e dalla sinistra in genere. Ora i sionisti più accesi si trovano nella destra, fra i neocon statunitensi e le organizzazioni nazionaliste, come il British National Party.
Fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Sionismo
Mirko